Panneggi 2025
Chiara Bettazzi
Panneggi,
A cura di Alessandra Tempesti
Lottozero, Prato
20.03 – 23.05.2025
Che cos’è un tessuto animato da pathos se non un panneggio?
Georges Didi-Huberman
Nella serie Scalei (panneggi) pochi tessuti drappeggiati su una scala sono sufficienti per creare il pathos di una scena sacra. La figura femminile a sinistra è assorta in una visione che immaginiamo essere una deposizione dalla croce nel pannello centrale del trittico, dove il panneggio di stoffe lucenti simula traiettorie di corpi e arti che sorreggono il corpo di Cristo. Nell’ultima pala del polittico un’altra figura (la stessa?) si allontana dall’epicentro della passione. Non ci è dato sapere se sia Maria, la Maddalena, o una santa imprecisata. Pressoché identiche ma divergenti nelle andature e nel portamento della veste, avvolta attorno al corpo in un casto raccoglimento nel dolore o indossata come un velo che cade all’indietro per scoprirsi sul davanti. Entrambe sublimi nello scintillio dei panneggi scolpiti dalla luce, comparse di un tableau vivant, tra sacro e profano, pittura e scultura.
Nell’incertezza di essere di fronte ad una composizione costruita paratatticamente come il trittico di una pala d’altare o al contrario scandita dal ritmo di una sequenza filmica, diventiamo spettatori del modus operandi di Chiara Bettazzi, che fa esistere l’opera in uno stato di perenne transito e trasformazione, spostando il punto focale sul processo del suo farsi. Le sue installazioni site-specific da oltre un decennio prendono forma attingendo allo stesso repertorio di oggetti del quotidiano che l’artista raccoglie e conserva nel suo studio per poi comporli in agglomerati effimeri, plasmati da un moto perpetuo che oscilla tra il fare e il disfare, innescando un mutamento senza fine in cui gli oggetti possono anche rompersi, frantumarsi o innestarsi in altri materiali trovati. Dispositivi della meraviglia, dal titolo della prima installazione del 2013 1 , capaci di rigenerare ogni volta l’incantamento 1 della visione dal rimescolio del fondale della memoria. Analogamente nella fotografia, la scena della natura morta è il teatro di gesti che compongono e scompongono ciò che resiste al tempo e in esso si trasforma: vasellame, vetri rotti, piante, fiori finti, frammenti combusti, lembi di stoffa.
Quando questa scena si svuota e il tessuto diventa protagonista, entrano in campo figure e pose che si richiamano alla tradizione della pittura sacra. E così il genere della natura morta, che finora ha circoscritto la totalità della produzione fotografica dell’artista, seppur costantemente rimodulato da una vitalità performativa e dal meccanismo dello svelamento scenico, si contamina con quello del tableau vivant, dove la composizione si carica di una tensione narrativa latente, producendo immagini metamorfiche e dalla temporalità reversibile, sospese tra stasi e movimento, visibile e non visibile. Già presente nelle installazioni come tenda o quinta scenografica, la materia tessile fa qui il suo ingresso in scena come panneggio, interfaccia dell’atto e della potenza 2 nel dispiegarsi della piega e nuovo strumento compositivo nelle mani dell’artista che adesso modella figure virtuali, animate da un’intensità che fa esistere i corpi nelle inflessioni del tessuto.
Nel momento in cui il panneggio scivola su un piano inclinato è il registro della natura morta a cadere verso il basso e farsi metafora materiale di una deposizione, complementare a quella più astratta del polittico. E se tornano certi elementi del vocabolario oggettuale delle nature morte, il punto di vista è cambiato, non più piano orizzontale su cui disporre gli oggetti ma visione frontale dell’opera, adesso scultura a tutti gli effetti, che non rivela più nulla del suo meccanismo di costruzione interna (lo scaleo e il tavolo che fanno da sostegno al panneggio). È ancora la luce naturale proveniente da destra (dalla porta dello studio, unica fonte luminosa con cui Bettazzi realizza tutti i suoi scatti fotografici), a essere strumento di intensificazione espressiva o patetica 3, calando i soggetti in una dimensione 3 pittorica che qui sbalza plasticamente le forme, invertendo la polarità tra pittura e scultura a favore del secondo termine: scultura funebre, catafalco che regge un corpo di fiori. Riemerge la compresenza di materia organica e inorganica, naturale e artificiale, tratto distintivo delle composizioni dell’artista. La pelle del corpo e dell’anima è altrove, nell’opera Carne (panneggi), prelievo di un tessuto sia epidermico che sintetico e saggio visivo sul funzionamento del panneggio: piegare e dispiegare, senza soluzione di continuità. Rappresentazione finita dell’infinito 4.
Alessandra Tempesti
Note
1 Wonder Objects, a cura di Alessandro Gallicchio, Galleria Moo, Prato, 6.06 – 30.07.2013
2 Georges Didi-Huberman, Ninfa Moderna. Saggio sul panneggio caduto, Abscondita, Milano, 2013, pp. 112-112.
3 Ivi, p.69.
4 Gilles Deleuze, La Piega. Leibniz e il Barocco, Einaudi, Torino, 2004, p. 43.
SC17