Chiara Bettazzi


The Rose That Grew From Concrete

Chiara Bettazzi
The Rose That Grew From Concrete
A cura di Morgane Lucquet Laforgue
Museo di Sant’Orsola, Firenze
05.09.2025 – 04.01.2026


Ben poco è sopravvissuto al passaggio di chi ha vissuto, lavorato o semplicemente transitato a Sant’Orsola: le tracce di fumo di un vecchio incendio, la porta divelta dell’ufficio del direttore della Manifattura Tabacchi, riemersa tra i detriti di un precedente cantiere interrotto. Eppure, dopo aver ospitato una popolosa comunità religiosa e poi operaia, il complesso accolse nel secondo dopoguerra centinaia di famiglie profughe, molte delle quali istriane, fuggite a seguito della ces sio ne dell’Istria dall’Italia alla Jugoslavia (1947), per il timore di persecuzioni etniche. Di questa e di altre storie, oggi restano solo pochi indizi. Mentre le tracce umane sono state in gran parte disperse, la natura ha continuato a farsi strada: tra le crepe dell’intonaco e le fessure della pietra, capperi, edera e fragoline di bosco raccontano una presenza silenziosa e ostinata.

In questa geografia dell’abbandono e della persistenza, ogni ambiente è un luogo carico di memorie sopite, da risvegliare, da risanare, da riaccendere.


L’opera di Chiara Bettazzi si presenta come un monumento insieme fragile e potente, dedicato alle molte vite che hanno attraversato Sant’Orsola. Sei pilastri sono stati assemblati a partire da elementi artificiali e naturali: oggetti quotidiani o provenienti dal cantiere, spezzati, talvolta bruciati, piante autoctone. Le sculture dell’artista si innestano nei punti di intersezione delle volte dell’antica spezieria conventuale come totem. Queste “colonne della memoria” danno l’illusione di nuove strutture portanti, composte da frammenti di epoche diverse. Le loro composizioni ricordano nature morte dalla bellezza effimera. L’artista trasforma memorie individuali in memoria collettiva, attraverso un vocabolario di oggetti che sollecitano interrogativi: piccoli enigmi silenziosi, pronti a rivelarsi a chi sceglie davvero di esplorarli.


Chiara Bettazzi è attratta dai luoghi liminali, abbandonati o dimenticati, in cui attiva nuove narrazioni attraverso l’assemblaggio di materiali raccolti sul posto o nel tempo. Le sue “colonne della memoria” si innestano nell’antica spezieria, evocandone le plurime stratificazioni: da farmacia monastica (vasi, ampolle), a laboratorio di “rapé”, ovvero potente tabacco da fiuto, di cui resta il “relitto” della porta dell’ufficio della direzione di Manifattura Tabacchi. Le parti carbonizzate rimandano a un incendio del 1960, mentre l’affastellamento degli oggetti ricorda gli arredi provvisori del centro profughi allestito a Sant’Orsola nel secondo dopoguerra. Piante spontanee crescono tra i materiali, segni di una persistenza organica che sfida l’inorganico. L’opera si configura come un archivio materico, dove ogni frammento è traccia da interrogare.