Panneggi 2025
Chiara Bettazzi
Retroscena
A cura di Alessandra Tempesti
Foto Forum, Bolzano
26.11.2025 - 20.12.2025
Retroscena segna uno scarto rispetto alla produzione installativa precedente, che dal 2013 si modellava sull’idea di Wunderkammer, dove frammenti del quotidiano, materia organica e inorganica, proliferano su se stessi generando un incantamento della visione inscindibile dal sentimento di un tempo che consuma, inesorabile. Qui il lavoro trova una dimensione scultorea nuova, assecondando una tensione opposta a quel moto centrifugo che nelle “camere delle meraviglie” frastagliava e moltiplicava la visione. Gli oggetti sono come tenuti insieme da una forza centripeta e paratattica, che li riporta sulla ribalta dell’esistenza.
La mostra deriva da una riflessione sulla soglia come luogo del processo creativo e compositivo, territorio di accadimenti, ripiegamenti e inversioni, confine permeabile tra immagine e scultura — una soglia che può coincidere anche con una semplice quinta provvisoria, come un tessuto drappeggiato su un’asta di ferro, visibile in Scalei (2024). Le due fotografie sono qui parte integrante dell’installazione, con il loro debordare fisicamente nello spazio angolare della stanza, mentre un altro scaleo (Scalei. Disvelamento) entra nel corpo stesso della struttura, attivando un dialogo muto tra gli oggetti in scena: ombrello, panneggio, attaccapanni.
Scendendo al piano interrato della Galleria si entra di fatto in una dimensione teatrale, ed è solo muovendosi nello spazio che il potere evocativo dell’oggetto decontestualizzato si lascia percepire, girando attorno ad una scena in cui recto e verso coesistono pur modellando paesaggi diversi ma reversibili. Prima di accedere a questo luogo metafisico in cui fotografia, scultura e installazione diventano un unico ambiente, prima ancora di osservare gli Equilibri precari e le torri di oggetti nelle fotografie degli scalei, c’è un fuoriscena (nella vetrina che affaccia sulla strada) che rimanda alle prime composizioni oggettuali dell’artista. Un omaggio alla poesia silenziosa delle nature morte di Giorgio Morandi e insieme una citazione dei filtri frapposti tra soggetto e obiettivo nelle immagini di Luigi Ghirri, che nel momento in cui svelano l’artificio restituiscono mistero e densità alla materia del quotidiano.
RETROSCENA La fotografia di Chiara Bettazzi esiste in una dimensione di prossimità con i linguaggi della scultura e dell’installazione, con cui condivide lo stesso vocabolario di oggetti del quotidiano che danno forma ai suoi soggetti. Nata come strumento di osservazione e controllo del processo installativo, essa acquisisce in seguito una sua autonomia, misurandosi in primis con il registro della natura morta. Le sue sono composizioni di oggetti e elementi naturali, costruite inizialmente sul piano orizzontale come vanitas o assemblage di memoria surrealista, e poi debordate fuori dal tavolo, cercando altri piani di appoggio in materiali trovati nello studio - scalei, paraventi, strutture provvisorie - che definiscono traiettorie precarie attorno a cui l’agglomerato oggettuale assume nuove sembianze scultoree. Lo scatto fotografico coglie incontri effimeri tra oggetti in uno stato di transitorietà, destinati poi a ritornare nell’anonimato del quotidiano. È una dimensione performativa della fotografia, soprattutto quando l’artista ci mostra anche i gesti del disporre, le cadute accidentali: sulla soglia tra composizione e scomposizione, dove l’immagine riattiva continuamente il processo, restituendo all’oggetto la possibilità di una nuova forma, in costante trasformazione.
Retroscena accosta una serie di fotografie recenti in cui ricorre l’elemento dello scaleo – emblema del processo di costruzione della scena - a una nuova installazione da cui la mostra prende il titolo: un intervento site-specific realizzato con materiali trovati in loco nei magazzini di Foto Forum, resti di precedenti allestimenti e oggetti presi in prestito dallo studio di Hartmut Prünster, co-fondatore della galleria e a sua volta accumulatore di oggetti trovati. Questa passione comune per l’oggetto e per la sua storia intrinseca porta l’artista ad attingere a una collezione altrui, scegliendo gli elementi come se fossero parte del suo repertorio, intuendone un vissuto senza conoscerlo direttamente. La selezione dalla collezione di Hartmut dà così il la all’installazione, che progredisce attorno alla colonna portante dello spazio espositivo, in mezzo alla sala.
Dal piano orizzontale della natura morta, da cui ha origine la produzione fotografica di Bettazzi, la composizione si sviluppa adesso su piani verticali, dove gli oggetti si dispongono e si incastonano. Sono pareti provvisorie, quinte che dividono lo spazio e lo articolano in una scena bifronte in cui è l’oggetto a farsi materia scultorea, costruendo volumi e aperture, assonanze cromatiche e accostamenti inattesi, che talvolta costruiscono immagini riconducibili alla storia del luogo: cornici e i vetri accatastati, una fotografia della catena montuosa del Catinaccio, uno schermo avvolgibile per proiezioni. Come un archivio della memoria, l’installazione si apre a processi di scavo e ri-figurazione1: una superficie materiale che innesca uno sguardo retrospettivo capace però di proiettarsi in avanti, ridisegnando trame narrative e relazioni temporali, mentre l’oggetto, sottratto all’oblio, riscatta una accettazione implicita del passaggio del tempo.
Note
1 Giordana Bruno, Superfici. A proposito di estetica, materialità e media, cit. p. 204, Johan & Levi, 2016.
Alessandra Tempesti
SC17



